Pubblicato sul primo numero della rivista SIRENE – 2015

A ogni longitudine e latitudine la duna, più che un elemento statico del paesaggio, rappresenta prima di tutto il modo di muoversi della sabbia.
La duna è una sorta di onda lentissima i cui spostamenti seguono leggi non del tutto note e tuttora oggetto di studio. Il primo motore è sempre il vento anche se non è il solo ad agire sulla morfologia dei litorali sabbiosi. L’acqua dolce e salata, insieme alla vegetazione, ed in misura diversa da caso a caso, giocano comunque un ruolo fondamentale. La sabbia infatti è il prodotto finale dell’erosione della roccia. Onde marine e corsi d’acqua sono i più potenti fattori di trasformazione delle rocce in arenili. Le dune si dispongono sempre parallelamente al litorale e finiscono per intrappolare parte delle stesse acque di fiumi e torrenti, dando vita a un sistema di stagni e lagune rese salmastre dalla penetrazione delle maree, dalle mareggiate e dall’osmosi con il mare. Questo è il modello generale delle dinamiche che interessano la sabbia marina e la formazione del sistema dunario, ma poi ogni duna ha la sua storia.

Le dune del Sahara dell’Atlantico
Quando il deserto giunge al mare, crea, insieme a interminabili litorali sabbiosi, grandi estensioni di bassifondi, veri e propri sistemi dunari sommersi che si protendono anche molto al largo. L’Atlantico è l’oceano maggiormente interessato da questi fenomeni grazie alla contiguità con il Sahara e gli alisei che collocano l’immenso deserto in posizione sopravvento: i venti, che provengono da nord est trasportano sino al continente americano enormi quantità di finissima sabbia africana: essa scavalca il mare sino a formare consistenti sistemi dunari sulle rive delle isole opposte al Sahara, come quelli, famosi, della costa orientale di Fuerteventura nelle Canarie: qui si trovano grandi dune costiere molto particolari dal momento che non sono costituite da sabbia marina ma da sabbia desertica portata dalle tempeste sahariane.

Le lenzuola brasiliane
Dall’altra parte dell’ Atlantico equatoriale l’estensione dunaria più nota della costa brasiliana è data dai cosiddetti “lencois” (lenzuola, in portoghese) che occupano ben 70 chilometri di costa ventosa dello stato di Maranhao. Nel Parco dei Lencois Maranhenses, i forti venti marini che soffiano prevalentemente da nord est sospingono la sabbia di origine fluviale verso l’interno per decine di chilometri, innalzando, sino all’altezza di 40 metri, infinite dune che si muovono con una velocità che può raggiungere i 20 metri all’anno. Tuttavia la caratteristica davvero speciale di questo sito, solo apparentemente “desertico”. è data dall’abbondanza di acqua piovana: da gennaio a giugno le precipitazioni equatoriali riempiono gli avvallamenti fra le dune con migliaia di piccoli e grandi laghetti il cui colore azzurro crea un incredibile contrasto con il bianco abbacinante (da qui il nome della zona) della sabbia dunaria a base di quarzo.

Le dune aguzze di Perth
Sono invece la geologia unita ai venti che provengono dall’Oceano Indiano a determinare il fenomeno tutelato dal Namburg National Park, situato a ridosso dalla costa sud occidentale dell’Australia, a nord di Perth: una vasta distesa sabbiosa che si addentra dalla costa oceanica verso l’interno sino a una zona denominata “Pinnacles Desert” caratterizzata da una serie infinita di aguzze e suggestive guglie rocciose che spuntano dalla sabbia delle dune.

Le dune letterarie di Cape Cod
Quando invece parliamo di continente nordamericano non possiamo non citare una delle più estese e particolari distese di sabbia marina del mondo, il promontorio di Cape Cod, ultimo e più meridionale relitto delle glaciazioni americane, che si allunga per 105 chilometri nell’Atlantico, non lontano dalla costa di Boston.
Terra d’approdo del Mayflower, patria della pesca del merluzzo e della cantieristica navale a vela, dirimpettaia dell’isola di Nantucket (capitale dei balenieri cari a Melville) Cape Cod, con i suoi fari solitari, le scarne fattorie e le infinite dune, è entrata anche nella storia dell’arte grazie ai dipinti di Edward Hopper, padre del Modernismo americano. Ma al di là delle attenzioni dei Padri Pellegrini, di Melville e di Hopper, forse il più interessante contributo alla conoscenza di questo comprensorio fu dato dall’opera dello scrittore e naturalista statunitense Henry David Thoreau che, a metà dell’Ottocento, percorse a piedi il Capo in lungo e in largo, raccogliendo la sua esperienza nel libro “Cape Cod”.

La lunga costa sabbiosa descritta da Thoreau è protetta dal Cape Cod National Seashore, un parco nazionale voluto dal presidente Kennedy che da queste parti trascorreva le sue vacanze. Importanti istituti di ricerca ambientale e marina trovano sede presso la penisola e in particolare il famoso Woods Hole Oceanografic Institution and Marine Biological Laboratory: gli esperti vedono con preoccupazione l’avanzare dei fenomeni erosivi anche in considerazione del fatto che le barriere sabbiose di Cape Cod proteggono un tratto molto ampio della costa del Massachusetts, stato che, insieme a Florida e California si pone all’avanguardia negli USA per quanto riguarda gli studi sui sistemi dunari e l’erosione costiere.

La vegetazione delle dune del Guadalquivir
Nell’Europa meridionale la più grande area protetta è quella del Coto Donana alla foce del Guadalquivir nella Spagna meridionale: essa comprende, nella parte marina, un esteso sistema dunario generato dal prevalente vento sud-occidentale che spira dal mare a ovest dello Stretto di Gibilterra. Ciò che distingue questo sistema da altri contesti europei è il gran numero di endemismi nella vegetazione dunaria e la grande mobilità delle dune stesse che determina il fenomeno del seppellimento di molte specie arboree vittime della sabbia.

 

Le piccole e grandi dune della Sardegna
Di distese dunarie spettacolari la Sardegna infatti non manca, grazie a sistemi che connotano le coste ma che si estendono in alcuni casi anche verso l’interno come nel Sinis, la regione che circonda Oristano, non a caso considerato l’unico, vero, minuscolo deserto d’Europa. Alcune dune sarde (come quelle di Piscinas, lungo la costa sud occidentale) raggiungono altezze “africane”; altre, come quelle che orlano il fondo del golfo dell’Asinara, ospitano un ginepreto tanto raro quanto straordinariamente esteso, e altre ancora, come quelle di Bèrchida sulla costa tirrenica costituiscono un’autentica meraviglia naturale perché talmente candide da sembrare di neve.
Nonostante i suoi attuali problemi di erosione, la celeberrima Pelosa di Stintino ha trovato un prezioso alleato nella distesa delle cosiddette “dune idrauliche” (che è costituita prevalentemente da lunghi dorsi paralleli con una lunghezza d’onda media di 100-200 metri, alla profondità di 3-4 metri): il suo lavoro sommerso ha fatto sì che la spiaggia non scomparisse del tutto in questi anni.

In difesa delle dune
Senza il “male oscuro” dell’erosione delle spiagge – da qualche decina d’anni sotto gli occhi di bagnanti e geologi – non si sarebbe probabilmente arrivati a capire il ruolo centrale e l’estrema fragilità dei sistemi dunari litoranei, lasciando così questi preziosi contesti naturali, come un tempo, alla mercé di edificazioni, estrazioni di sabbia, parcheggi e fruizione irrispettosa. Oltre che per la loro straordinaria bellezza, anche per questi motivi alcuni fra i più estesi e interessanti sistemi dunari costieri del pianeta sono oggi parte integrante di parchi naturali istituiti per tutelarli.
Uno dei progetti all’avanguardia, quanto meno in Mediterraneo, è quello che sta investendo proprio la Pelosa: si va oltre la semplice conservazione dell’esistente, mirando a ripristinare un esteso insieme di dune ormai da molti anni “desaparecido”.
Oltre a interventi ormai collaudati, come la recinzione delle dune e la realizzazione di passerelle in legno che garantiscono un accesso ordinato all’arenile, verrà smantellata la strada in asfalto che lambisce la spiaggia. Avendo individuato tra i principali fattori che minacciano le dune l’infinita sequenza di giardini e prati inglesi che circondano le ville vista mare, il pilastro fondamentale del progetto è la facoltà data al Comune di Stintino di espropriare fino all’ultima aiuola. I giardini presto lasceranno posto alla sabbia e alla relativa vegetazione autoctona delle dune che sino a pochi decenni fa facevano da corona alla Pelosa. A quel punto a turbare la vista sulla spiaggia rimarrà solo il cemento dell’albergo Roccaruja, ma questo è un capitolo ancora tutto da scrivere.

Bibliografia:
• Henry David Thoreau – CAPE COD – Donzelli Editore 2011
• Lyall Watson – IL LIBRO DEL VENTO – Frassinelli Milano 1985
• ISPRA (ISTITUTO Superiore per la protezione e la ricerca ambientale) – IL SISTEMA SPIAGGIA-DUNA DELLA PELOSA (STINTINO) – Quaderni Ricerca Marina ISPRA 2010
• ATTI DEL CONVEGNO SULL’EROSIONE DELLE SPIAGGE IN SARDEGNA – a cura di Giancarlo Virdis (CORISA) 1992
Autori vari – BIOTOPI DI SARDEGNA Guida a 12 aree di rilevante interesse botanico – Carlo Delfino
Editore 1988