Quando si parla di Stintino il ricordo di Enrico Berlinguer  viene a coincidere con quello di chi, da bambino e poi da ragazzo ha avuto  la fortuna di conoscere quella stagione dorata (fra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta), che precedette l’istituzione del supercarcere dell’Asinara, quando l’isola era una semplice colonia penale, angolo dimenticato e fantastico sulle cui rive selvagge si approdava ogni giorno dell’estate.

Enrico compariva di quando in quando fra le cale dell’isola o presso la rada fra la Pelosa e l’Isola Piana, talvolta a bordo dell’Oloturia, il gozzo largo e panciuto dell’avv. Aldo Berlinguer, oppure ospite a bordo di qualche altro legno stintinese, barche le cui vele latine di antica memoria sapeva ed amava governare magistralmente, grazie alla pratica acquisita in gioventù alla scuola dei pescatori del paese.

Solitamente prendeva con la famiglia una casa in affitto situata rigorosamente in fondo al Porto Vecchio, a pochi passi dal campetto rustico e periferico allora frequentatissima palestra calcistica di tutti i bambini e ragazzini che gravitavano attorno al piccolo universo stintinese.
Di queste squadrette tanto estemporanee quanto variegate per età e provenienza, Enrico era il dominus incontrastato, in qualità di allenatore-arbitro-propulsore dell’attività calcistica di bambini e ragazzini.

A spingerlo all’appuntamento con quei pomeriggi di pallone e sole calante, accanto all’ovvio desiderio di trascorrere quei momenti con i propri figli, anche una passione per il calcio mai negata che condivideva con la banda di amichetti, cugini, amici-rivali delle cantonate stintinesi. E quando con l’elezione a Segretario del PCI i suoi gravosi impegni lo costrinsero a vacanze sempre più brevi,la magia di quel luogo cominciò a declinare, sino ad esaurirsi definitivamente quando il campetto fu pavimentato e trasformato nell’odierna Piazza dei Quarantacinque.

Nel frattempo qualcosa era cambiata nelle vacanze stintinesi della mia famiglia, grazie ad un motoscafo in legno (non proprio fresco di varo ma dignitoso) armato di un potente fuoribordo, acquistato da mio padre con il segreto intento di guadagnare il rito del pranzo nella veranda di casa,  traguardo che non era alla portata degli “storici” gozzi degli amici come l’Antares, l’Oloturia o la S. Gennaro che da sempre ci ospitavano  sulla rotta dell’Asinara e che solevano rientrare in porto sfruttando il vento in poppa del tardo pomeriggio.

Fra le novità determinatesi con l’arrivo della prima barca “di famiglia” (in seguito sostituita prima da un mitico “Boston Walher”, e poi da un cabinato a vela che tuttora naviga) il mese principe delle nostre vacanze a Stintino da luglio divenne agosto e nostro padre potè finalmente invitare a bordo Enrico Berlinguer per una battuta di pesca o una veleggiata, invito che rinnovò almeno una volta nel corso di ogni estate per quello che divenne quasi un appuntamento canonico della sua (e nostra) vacanze. Naturalmente io e mio fratello Paolo, allora scolari, eravamo assoldati in qualità di equipaggio, spinti anche dalla curiosità preponderante di conoscere da vicino il Berlinguer marinaio, la cui fama giovanile di timoniere abile e coraggioso era risaputa da noi ragazzi.

Nel corso di quelle navigazioni i riferimenti alla politica erano piuttosto rari e sfumati, ricordo una volta un accenno al celebre discorso sull’austerità, che mio padre aveva preso molto sul serio, e qualche frase di Enrico sui pescatori di una volta, “poveri perché sfruttati”, nel suo lapidario giudizio. Perlopiù l’incontro fra loro due era soprattutto quello fra sassaresi “in ciabi” che avevano trascorso entrambi la gioventù (seppure a distanza di circa dieci anni) frequentando i medesimi ambienti di una Sassari ancora divisa fra braccianti, artigiani e borghesi istruiti, che felicemente convivevano fianco a fianco all’insegna della “cionfra” ; così entrambi non si negavano l’occasione di accennare a quel mondo caratteristico che ancora si portavano dentro, fatto di ricordi del Liceo “Azuni” , di professori e personaggi noti, di storielle argute che Enrico raccontava con arte consumata ed in perfetto sassarese.

Enrico aveva un senso del’umorismo tanto discreto quanto graffiante, che non stonava affatto con la sua personalità così compassata e riservata, tuttavia ciò che più mi colpiva di lui era il fatto che il Berlinguer di quei momenti non era poi diverso dall’uomo politico che in quegli anni conoscevamo, anche noi come tutti, soprattutto grazie alla televisione. Infatti , mentre governava magistralmente e senza sforzo lo spinnaker fra le raffiche del maestrale, nel parlare delle estati di tanti anni prima, di vele, vento, correnti, raffiche e totanate, con il tono di voce calmo e il fascino della sua prosa scarna, Enrico, senza mai venir meno alla sua consueta misura e concisione, comunicava la stessa intima sicurezza di sé e delle proprie parole che costituiva il segreto dei suoi celebri interventi televisivi.

Una battuta di pesca sotto scorta

Una volta mio padre invitò Enrico ad una battuta di pesca in motoscafo fra l’Asinara e Stintino, il Segretario accettò di buon grado facendo presente tuttavia che, dati i tempi allora così “caldi” (il terrorismo aveva raggiunto allora il suo apice), si rendeva necessario imbarcare anche alcuni “compagni” che il partito aveva delegato a garantire la sua sicurezza. Più che di guardie del corpo vere e proprie si trattava di inossidabili militanti della provincia di Sassari che mio padre conosceva più che bene, in quanto dirigenti locali del partito. Sicchè la battuta di pesca si inaugurò sotto i migliori auspici , in una barca un po’ troppo affollata forse, ma nel clima di una rimpatriata fra vecchi amici e appunto, compagni. Io e mio fratello Paolo non potevamo perderci l’escursione e fummo infatti imbarcati in qualità di marinai.

Nessuno tuttavia aveva tenuto in considerazione un particolare degno di nota: i compagni addetti alla “sicurezza” del segretario, ancorchè fisicamente validissimi sulla terraferma, tradivano in mare la loro provenienza dai territori più interni e votati all’agricoltura: una volta dato fondo all’ancora una maretta assassina di grecale, innocua per i “pratici” (cioè noi familiari e lo stesso Enrico) mise fuori combattimento la scorta al punto che la battuta di pesca finì con i compagni protesi fuoribordo a restituire il pranzo e noi che ci prodigavamo per evitare che finissero in acqua.

Nell’occasione tragicomica Enrico fu imperturbabile, bastò un occhiata scambiata con mio padre per disporre con autorevole discrezione l’immediato ritorno a terra onde trarre in salvo i malcapitati (“tanto si è capito subito che con questa maretta non abboccano…” bofonchiò mio padre) ma il ricordo di quel pomeriggio nel quale, per la prima e unica volta in vita nostra godemmo della protezione di una “scorta” ma ci trovammo noi stessi a doverla soccorrere, accompagnò le future veleggiate alle quali invitammo Berlinguer, che non poteva esimersi dal sorriderne bonario anche lui.

Una gita a Orgosolo

Restano nella piccola mitologia di famiglia le foto sbiadite ed i ricordi di una gita estiva a Orgosolo in un fine estate del 1972, a cui mio padre e mia madre avevano aderito su invito di Paolo e Marina Berlinguer ed alla quale aveva partecipato anche Enrico. Ricordo che i miei rientrarono a Stintino ad ora tarda, piuttosto galvanizzati, al termine di una giornata bella ed inusuale,  durante la quale tutto il paese si era stretto con trasporto attorno a loro organizzando un memorabile pranzo campestre; al termine del pranzo gli orgolesi condussero Enrico Berlinguer (e tutti i gitanti al seguito) a visitare tutto il paese, accogliendolo di casa in casa, secondo l’espressione di mia madre, “come la statua della Madonna” . In quella interminabile serie di visite, presentazioni, strette di mano e andare e venire di vassoi Berlinguer si lasciò trasportare per ore, con sorprendente arrendevolezza e cortesia e senza manifestare il minimo segno di stanchezza o impazienza. Mentre l’imbrunire si avvicinava Paolo prese da una parte mio padre: Stintino era lontana e si imponeva il rientro, gli ospiti tuttavia si mostravano assai poco propensi a restituire il Segretario.

Avendo lui stesso organizzato ogni cosa e ben conoscendo l’amore sacro degli orgolesi per l’ospitalità reso ancora più forte dalla presenza dell’illustre ospite, Paolo non sapeva bene come fare a riprendersi il cugino e ripartire senza creare dispiaceri o rischiare di ferire l’orgoglio tipicamente barbaricino del paese. Ci pensò mio padre che, da accompagnatore sconosciuto ai più, irruppe nel corteo esclamando, con voce stentorea e tono che non ammetteva repliche : “Ora basta! Abbiamo la responsabilità di riportare a casa il compagno Enrico ed è ora di andare!” e, dopo aver concesso agli orgolesi ammutoliti la deroga per una sola ulteriore visita finale, con tale capolavoro di diplomazia riuscì a far ripartire il convoglio nel giro di mezzora, in perfetto ordine e senza recriminazione alcuna.

Una veleggiata speciale

La prima Regata della Vela Latina ebbe luogo l’11 settembre 1983. Mi decisi ad organizzarla, insieme a mio fratello Paolo, per fare in modo che le mille veleggiate serali sui gozzi (irrinunciabile rito estivo stintinese) non dovessero tramontare mai. Così cominciai a battere il porticciolo fra amici e conoscenti per incoraggiare gli irriducibili della vela latina a scendere in mare tutti insieme in occasione della festa patronale. Naturalmente fra i primi ci iscritti ci furono gli uomini e le barche a noi più familiari fra le quali la mitica Oloturia: percorrendo la banchina del Porto Mannu, seduto a bordo della grande carlofortina di famiglia trovai Paolo Berlinguer che mi accolse con un sorriso e mi disse : “ Vedi? Qui a bordo è tutto pronto per partecipare, vedrai che equipaggio… viene anche Enrico!” Fu una notizia bella e inaspettata, a bordo fu invitato anche mio padre, Enrico da tempo non si vedeva più a Stintino e fu per tutti una bella rimpatriata; ancora di più il ricordo di quella prima Regata della Vela Latina a bordo dell’Oloturia si rese indimenticabile perché si trattò dell’ultima apparizione a Stintino di Berlinguer durante l’ultima vacanza estiva della sua vita. Le foto scattate da mio fratello Paolo lo mostrano incredibilmente esile e fragile mentre regola a mani nude, come è uso sui gozzi, la vela triangolare tanto più grande di lui. Impegnato come ero nell’allestire ogni cosa e vigilare sui partecipanti, da bordo a un motoscafo ebbi appena il tempo di salutarlo mentre l’Oloturia usciva dal porto e si disponeva ad issare le vele, lo vidi sorridente e felice come un ragazzo per l’occasione di quella insperata uscita in mare: la scorta, una volta tanto, l’aveva lasciata a terra e stava per misurarsi come un tempo con gli amici-rivali di sempre sul gozzo di famiglia. I giornalisti non si fecero sfuggire la notizia e, per i lettori della Nuova Sardegna, fu quella la “Regata del Segretario” la prima di una lunga serie di appuntamenti di successo crescente che, rimasti orfani di Enrico negli anni successivi, conservarono per sempre il suo indelebile ricordo fra le pieghe di quelle vele così diverse, così “povere e popolari” che non a caso tanto apprezzava.

 La Regata della Vela Latina

Alla prima edizione nel 1983 erano undici i gozzi presentatisi con le loro antenne sbilenche e le vele in cotone rattoppato, ultimissimi superstiti di una gloriosa e dimenticata tradizione marinara, gettata in fondo al mare dalla cultura balneare che a quella tradizione si era ormai sovrapposta. Trentsei edizioni dopo, il ritorno all’antichissima vela latina rappresenta un piccolo fenomeno nautico nato e cresciuto all’ombra della Regata stintinese, che nel 2000 ha raggiunto il culmine del successo radunando 100 legni tradizionali provenienti da ogni angolo della Sardegna e del Mediterraneo. Quella che inizialmente tutti chiamavano “la regata dei gozzi” si è ripresa in pochi anni con onore il suo originale appellativo di “Regata della Vela Latina”, coniato per celebrare la velatura-simbolo della storia nautica del Mare Nostrum: la prima ala triangolare (detta , per questo, “alla trina”) che, a partire dall’altomedioevo, permise di risalire il vento contrario con regolarità e consentì di scoprire ed esplorare due oceani e tre continenti sconosciuti determinando l’avvento dell’Età Moderna.

La Regata della Vela Latina percorre ancora, ogni anno a fine agosto, lo stupefacente mare di Stintino ed ha ispirato anche una serie infinita di repliche in Italia, Francia, Spagna, Croazia e Tunisia: grazie al suo messaggio universale ha consentito negli anni ai meravigliosi legni e alle vele dell’artigianato mediterraneo di rinverdire i fasti dell’epopea della pesca e del cabotaggio di una volta.